Si chiamava Tommaso
Ricci ed era figlio «del vivo» Giuseppe Antonio. Originario di Aquino, dove era
nato nel 1837, faceva il bracciante nelle campagne di Ceprano. Tutto sommato
una persona abbastanza tranquilla almeno sino all’inizio del mese di ottobre
del 1865, quando decise di cambiar vita e di andarsi ad arruolare nella banda del
brigante Costantino Mattei, detto Medichetto, nella purtroppo non errata
convinzione che ne avrebbe tratto un tornaconto sicuramente maggiore «da quello
che ritraeva dalle sue giornaliere fatiche, sebbene gli fosse stato questo
sufficiente per vivere avendo persino avuto la mercede di bai[occhi] 20 al giorno»,
come relaziona il «giudice procuratore» Angelini nell’atto istruttorio (18
febbraio 1866) custodito tra i documenti presso l’Archivio di Stato di
Frosinone (Delegazione Apostolica -
Affari generali, militari, polizia. B. 72, f. n. 58). Per i riscontri,
comunque, non si dovette attendere più di tanto: il lacero e miserabile «vestito»
che aveva indossato sino ad allora venne infatti ben presto sostituito con uno
del tutto nuovo di panno turchino cui abbinò un bel paio di stivaloni in pelle.
E, tanto per gradire, spuntò fuori anche un’amante: la vedova cepranese Agnese
Germani.
La cosa, ovviamente, non
sfugge ai più; lui, però, per non dare ad intendere quel suo cambio di «attività»
il 19 ottobre si era procurato un foglio di via «per le campagne romane e
lavori delle ferrovie, onde far credere alla Polizia che egli era dedito alla
fatica» anche se la sua scomparsa «dai lavori campestri in Ceprano» ben presto «fece
sorgere la voce pubblica di essersi dato al Brigantaggio.» D’altro canto, egli
fece del tutto per avvalorare tali voci facendosi «veder girovago per Ceprano e
campagna» con indosso il nuovo abbigliamento.
Ma perché Ricci si
guadagnò quel ‘titolo’ di brigante? Come prima cosa attuò una «estorsione in
conventicola armata» a danno di Domenico Fanelli di Casalvieri, «nel regno di
Napoli», dalla quale ricavò, con altri, circa 190 scudi ed oggetti vari.
Era «una ora prima del
giorno» del mattino del 28 ottobre 1865 quando lui e due suoi compari armati di
archibugi fermarono «il carrettino guidato dal vetturino Giovanni Vannoni che
dirigevasi da Ceprano alla stazione della ferrovia portando persone»: fra
queste, i tre malviventi focalizzarono la loro attenzione su Domenico Fanelli
che, fatto scendere dal «carrettino», condussero in montagna.
A far da tramite per il
riscatto fu una donna cui la moglie del Fanelli consegnò cento scudi; quando,
però, l’operazione si concluse, al sequestrato non fu detto niente. La cosa
andò avanti per un paio di settimane. Poi, «trovandosi il Ricci in unione di
altri quattro tutti armati in custodia del Fanelli proposero a questi di lasciarlo
in libertà qualora avesse poi detto di esser fuggito nel mentre essi dormivano,
e purché avesse loro inviato scudi cento, e cinque vestiarii, cioè uno per
cadauno, minacciandolo in caso diverso della vita e delle sostanze.» Fanelli
trovò la proposta molto interessante e non esitò un minuto a tornare libero.
Poi, una volta a casa, pur avendo appreso che il riscatto di cento scudi era
già stato pagato, intese comunque non venir meno all’impegno assunto coi briganti.
Passa un mese appena e
Tommaso Ricci è protagonista di un altro episodio, decisamente molto più grave.
Una colonna mobile di
granatieri ed alcuni gendarmi il 12 dicembre erano stati in perlustrazione sui
monti Cacume e Gemma. Dopo aver fatto sosta per la notte a Supino, dove si
rifocillarono con «pane di formentone», nel discendere la mattina seguente la
montagna di Cacume, vennero assaliti da una banda di briganti che «da una
imboscata sul monte Gemma scagliava una scarica di fucilate contro la colonna
militare, la quale corrispondendo con una altra scarica impegnava un vivo fuoco
di contrasto. (…) Il Ricci ed un suo compagno, non contenti di tanto, si
ponevano ad inseguire la colonna medesima in ritirata ed esplodendo delle archibugiate
rendevano cadaveri il maresciallo Antonellini ed il Granatiere Emidio Venti nel
tempo stesso che insultavano i militi rimasti indietro ‘a voi magna polenta!’»,
con un chiaro riferimento al cibo consumato la sera prima dalla truppa.
Sulle prime ore della
notte di quello stesso 13 dicembre Tommaso Ricci si presentò a casa di Gio:
Battista Basacchi e Girolamo Colafranceschi, suoi conoscenti, che abitavano non
lontano da Ceprano, in contrada Selvotta, chiedendo loro alloggio e ricovero
ma, soprattutto, un documento che attestasse la sua stabile dimora in quel
luogo sin dal 19 ottobre. Se il Basacchi rifiutò di ospitarlo - ben sapeva,
infatti, che Ricci si era dato al brigantaggio - diverso fu il comportamento di
Colafranceschi il quale, nonostante fosse anche lui a conoscenza dell’attività
criminosa intrapresa da Ricci, lo ospitava, «speranzandolo», ovvero
assicurandogli il rilascio, «del ricercato documento» ma in realtà con
l’intento «di farne eseguire il fermo per ottenere il premio stabilito». Cioè,
la taglia.
E fu così. In sede di
confessione, Ricci, pur confermando taluni degli episodi di quelli più prossimi
al suo arresto riferiti dai testimoni, smentisce, ovviamente non creduto, di
aver consegnato l’archibugio e quant’altro a Girolamo Colafranceschi. Non
regge, però, nemmeno quel suo alibi che doveva escluderlo dall’aver preso parte
allo scontro di monte Cacume. Ma fu soprattutto per via di quel vestiario «in
panno turchino», vestiario che evidentemente dava molto nell’occhio, che la
credibilità di Tommaso Ricci andò a farsi benedire. Egli, infatti, affermò di
essere stato a lavorare in ferrovia nella zona di Passo Corese «sotto
l’appaltatore Quaranta ed il caporale Francesco D’Ottavi e di avere da questi
ricevuto il danaro per comprare in Roma il vestiario indossato.»
Agli inquirenti non ci
volle più di tanto per verificare la concretezza dell’alibi: «non solo non si
trovò notato nelle liste dei lavoranti il suo nome e cognome, ma non fu vero
che il D’Ottavi fosse mai stato nella linea della ferrovia di Corese, il che dié
piena prova per contestare che esso inquisito in quell’epoca stesse al brigantaggio,
e che quel vestiario fosse il risultato delle operazioni di brigante, e non di
lavorante alla ferrovia come pretese far credere.»
Ma che fine fece Tommaso
Ricci? Le carte non lo dicono. Non è da escludere, però, che, dati i tempi,
abbia subito una punizione esemplare. Forse, anche pagando con la vita.
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