sabato 27 ottobre 2018

RICORDO DI UN ARTISTA di Paolo Secondini


Non una nota commemorativa vuol esser la presente, ma un semplice, vero, sincero ricordo di Antonio Di Marco, pittore, scultore e carissimo amico, che ci ha lasciati, dopo lunga malattia, per approdare ad altri lidi, quelli celesti, dove di certo continuerà a esercitare la sua grande passione per l’arte, in cui credeva profondamente e che era, sono certo, uno dei suoi più importanti motivi di vita.
Quante volte mi sono recato a trovarlo nel suo studio – in vicolo San Costanzo, ad Aquino –, mentre, da solo, egli era intento a dipingere una tela. Interrompendo il lavoro, ben volentieri si soffermava a illustrarmi la sua creazione e altre esposte sulle pareti. Ricordo quanto amore e predilezione avesse per certi soggetti, innanzitutto religiosi, e poi ancora mitologici e letterari, e quanta foga, quanto sentimento nell’esternare questo e quel concetto, questo e quel pensiero, che rendeva ancor più intellegibili attraverso il segno, la pennellata, il colore: quel colore pastoso dai toni prevalentemente caldi che mi soffermavo a contemplare con ammirazione.
Ciao, Antonio, sono certo che soggetti ben più elevati ispireranno, ora, il tuo estro creativo, per il quale, assieme alla tua grande bontà, alla tua squisita gentilezza, sarai ricordato.

mercoledì 10 ottobre 2018

MERCATO DI PAESE di Paolo Secondini

Estate1960. Sabato notte.
Le ruote dei carri producono grande rumore nella strada. È un frastuono continuo, stridente. Non si può non destarsi dal sonno. Si rimane in ascolto, immobili, distesi sul letto.
Il fragore dilaga; cresce di intensità.
Altri carri giungono in fondo alla strada. Hanno ruote pesanti, cerchiate di ferro, e sono trainati da buoi o muli o somari.
Tutta la via, ora, risuona del loro rumore.
Nessuno si alza dal letto, né si affaccia alla finestra, né scruta, curioso, tra le strette fessure delle persiane. Nessuno si mostra sull’uscio, né protesta, né impreca.
Da anni si è abituati a questo rumore che si ripete ogni sabato notte e prelude al mercato della domenica mattina.   
I carri arrivano dalla campagna carichi di grossi canestri di frutta, legumi e verdura. A guidarli son contadini dai volti scavati, magri, dalle guance coperte di barba incolta e nera, dalle spalle ricurve.
Le loro membra sembrano gracili, malaticce. In realtà in quei corpi, fatti di ossa, muscoli e fibre nervose, c’è grande energia, come rivela la forza nelle braccia e nelle gambe anche quando son vecchi.
Nell’aspetto le donne non sono diverse dagli uomini: abiti stinti, rattoppati; mani grosse e callose; visi bruciati dal sole e pieni di rughe (sembrano solchi in campi riarsi); capelli senza colore né forma: quasi grovigli di stoppa…
Il frastuono delle ruote cessa di colpo.
Non appena i carri son fermi, i contadini saltano giù di cassetta. Le donne, rimaste di sopra, spingono verso l’estremità senza sponda i canestri, che gli uomini, in due o tre, a seconda del peso, afferrano e posano sul marciapiede disponendoli in fila, uno a fianco dell’altro.
«Dài, spingi!»
«Attento a non farlo rovesciare.»
«Più forza in quelle braccia!»
«A destra, a destra.»
«Tieni ferma la mula.»
«Coraggio, Rosina!»
«Forza, forza!»
«Così!»
«Va bene!»
«Piano!»
«Ecco, ci siamo!»
Come tutti i canestri son sistemati, lungo il bordo del marciapiede, ricomincia il fragore dei carri – ancora guidati dagli uomini – che riprendono strada verso campagna.
Le donne, invece, restano lì, sul posto: hanno davanti qualche ora di sonno – distese per terra o sedute, la testa reclina – vicino alla frutta, ai legumi, alle verdure, prima che spunti il giorno; prima che la strada si riempia di gente: uomini, donne, bambini, e risuoni di voci e grida di paese.