martedì 30 aprile 2019

DIOMEDE: LA FRECCIA di Peppe Murro


C’erano i fratelli Mazzaroppi, “i moschettieri”, votati alla squadra con tenacia e passione; c’erano Adriano e Gigino, “le torri”, imperiosi in attacco e al centro; c’era Biagino, “la roccia”, che in difesa non faceva complimenti a nessuno e fermava ogni attaccante, con le buone o, talvolta, con le cattive. E poi c’era lui, Diomede, “la freccia”, quello che più di altri accendeva i nostri cuori e le nostre gole: un’ala d’attacco come non si era mai visto nella squadra di calcio aquinate!
Mario “Diomede” era un bolide imprendibile quando partiva sulle fasce, palla al piede e dribbling fulminante, provocando brividi di paura alla difesa avversaria ogni volta che convergeva al centro: e noi, seduti sul muro di cinta del campo sportivo ad urlare “forza Mario, forza Diomede!...passa…tira !”
E una volta, per la foga, Umberto cadde dal muro, e per sua e nostra fortuna cadde su un mucchio di pozzolana, guadagnandosi, comunque, per tutti noi la solenne e tassativa proibizione di salire ancora sul muro. Ma anche attaccati alla rete di recinzione i nostri incitamenti non erano da meno e, per farci sentire di più, quando si cambiava campo cambiavamo posto anche noi, correndo immancabilmente verso la porta avversaria dove di sicuro sarebbe spuntato lui, Diomede “la freccia”, a farci gridare e gioire al goal in arrivo.
Come tutte le cose, un giorno anche la sua carriera di calciatore finì: Mario “Diomede, la freccia” appese, come si suol dire, le scarpe al chiodo, anche se per noi restava sempre “la freccia”, il guerriero che, senza essere Achille, ci aveva esaltato e fatto sognare.
L’ho ritrovato dopo tempo a coltivare le sue passioni: pizza, dolci e infine, gelati.
Quando aprì “Il Giardinetto” fu un successo enorme: la gente faceva la fila per gustare le sue creazioni. E ogni volta mi chiamava per farmi vedere come aveva combinato le coppe di pistacchio e cioccolato, le guarnizioni di frutta, la polvere di cacao. Ero contento per lui, mi sembrava giusto il suo successo, quasi una ricompensa per la gioia e le emozioni che ci aveva regalato: non era più “la freccia”, ma restava per sempre e per tutti “Diomede”!
L’anno seguente, visto il successo, decise di ingrandirsi, come si dice, di “fare il grande salto”: non ci crederete, ma tante sere le abbiamo passate a guardare i tavoli desolatamente vuoti; i compaesani sembravano dissolti nel vuoto. In breve, di quelle file di clienti si era persa ogni traccia, anzi, sembrava quasi che ai suoi concittadini non piacesse più il gelato. Inutile dire che chiuse l’attività. “Diomede” andò via, a tentare caparbiamente la sorte lontano dai suoi distratti concittadini.
Un giorno seppi che era morto, in una terra che non era la sua, e mi parve giusto che i suoi compaesani fossero assenti alla sua morte come lo erano stati nella vita. E provai rabbia, pensando a quanto labile successo ti riservi questo paese: un giorno ti osannano e l’indomani ti ritrovi solo.
“Ingrata patria…” griderebbe Virgilio, ma non è il caso. A me piace ricordarlo come l’altro “Diomede”, eroe misconosciuto di greci distratti e vili, ricordarlo  il “Diometro” di Rosino: gelataio… pasticciere… ”la freccia”… per sempre.