Un vecchio adagio recita: “i sogni belli non si realizzano
mai!”
Non è sempre così, a volte si avverano e son capaci a farci
vivere favole realmente.
Io ed Alfonso di nuovo insieme dopo circa quarant’anni! Quel
lontano soggiorno ad Amalfi in visita ai parenti con mio padre è rimasto
indelebile nella mia mente.
Rivivo nel ricordo dei racconti di mio padre i suoi anni
trascorsi ad Amalfi nella cartiera di zio Francesco Marino, in località “a’
Ferrera”.
Sabato, 9 aprile, scaliamo il lungo, ripido sentiero che ci
spegne il fiato, nella mitica e stupenda Valle dei Mulini. Mi è impossibile non
notare i ricchi terrazzamenti, stracolmi di meravigliosi limoni; la primavera è
già visibilmente avanzata, un profumo non facile da descrivere mentre avverto
l’atmosfera di un desiderio troppo grande da appagare che m’accompagna verso la
meta prefissata.
Ancor prima d’arrivare incrociamo numerosi altri opifici
abbandonati. Costruzioni concepite e realizzate al limite della follia della
ragione umana: un miracolo di volontà, di arditezza, d’ingegno, di laboriosità.
Penso, strada facendo, alle immani fatiche profuse dai nostri predecessori,
intese a far giungere quassù le materie prime, i materiali, i macchinari, tutto
ciò che occorreva alla produzione della carta. Incredibile, ma qui hanno
vissuto e lavorato varie generazioni di amalfitani!
Fra di essi i miei antenati.
Mentre saliamo avverto idealmente la presenza di mio padre,
come se fosse vicino, a istruirmi, a parlarmi dei luoghi a lui tanto cari, a
raccontarmi tanti piccoli episodi di quella parte della sua vita nella cartiera
di zio Ciccio.
Ed eccoci arrivati innanzi alle mura della cartiera che fu
di zio Giovanni Marino, nonno di Alfonso e fratello del mio bisnonno. Ruderi
soltanto, pietre che si elevano come un monumento nella folta vegetazione. In
questa magica, irripetibile Valle dei Mulini, tra i suoi sentieri è facile
fantasticare di una giornata di intensa attività lavorativa tra maestranze
vissute tanti anni fa.
Continuando l’ascesa verso “a Ferrera”, Alfonso mi indica
l’ex cartiera del mio trisavolo e omonimo, Camillo Marino, morto, a quanto mi
ha raccontato l’anziano e illustre cartaro Nicola Milano, in seguito a un incidente
occorsogli nella sua stessa cartiera.
L’emozione è inimmaginabile. Un addensarsi di sentimenti, di
forti sensazioni si sono impadroniti di me. Sembro calmo, ma l’agitazione
dell’anima rivela sul mio volto, di sicuro, l’emozione. Il pellegrinaggio
arriva al suo culmine.
Siamo davanti alla cartiera che fu di Francesco Marino.
Risolviamo qualche problema di poco conto nello scendere i gradini di pietra
dell’antica scalinata che porta al piano della cartiera. Subito entriamo nel
mezzo di una stanza e molto bene riconoscibili ci appaiono resti di macchinari:
la pila olandese con ancora quasi intatta la ruota dentata; quindi la batteria
dei magli che serviva a sfibrare la carta straccia, la pressa con la sua
decrepita struttura lignea ma con l’ancora accettabile madre vite.
Nel mucchio dei resti di arredi si notano telai di porte e
finestre, insieme ad altre strutture di legno, mentre, inconfondibili, vedo due
ruote di granito che animavano una molazza di media grandezza. Provo
immediatamente stupore e incredulità per come tali ruote siano giunte quassù,
considerando, il loro non trascurabile peso! Scattiamo, avidamente, foto di
gruppo: mio figlio Luigi, mio fratello Franco, Alfonso, sua moglie, suo figlio
Nicola. Continuiamo a girare nei diversi locali e scopriamo quello che fu la
cucina della cartiera Marino.
Noto con sorpresa e non poco meraviglia, quasi intatte, alle
pareti, belle maioliche di foggia “antica”. La tentazione di far mio un originale
souvenir è fortissima, per cui, dopo essere riuscito a procurarmi un
rudimentale pezzo di ferro, in pochi secondi stacco dal muro alcune mattonelle
che ho cura di sistemare nella borsa-custodia della macchina fotografica. “Le
preziose reliquie” andranno ad aggiungersi alle altre numerose maioliche che
conservo a casa e che ho trovato frugando in vari mercatini di antiquariato.
Esse, indipendentemente dalla loro bellezza e valore venale, assumono, per me,
un concetto e un ricordo del tutto particolare.
Continuando a cercare affannosamente altri oggetti che
potessero avere un certo significato, ho potuto raccogliere, nel mucchio di
materiale demolito, una manovella di metallo con impugnatura in bachelite.
Chissà quanti e quali mani hanno mosso questo misterioso attrezzo. Non si può
nemmeno escludere che sia finito nelle mani di mio padre!
La fantasia non ammette confini e fra me alimento congetture:
mentre esploro tra i ricordi mi sembra rivedere mio padre quando si eccitava
parlando con calore e passione della sua famiglia, di Amalfi, della cartiera.
I miei compagni di viaggio sono intanto sul sentiero. Sento
le loro voci. Io, invece, mi trattengo ancora fra i ruderi ed i macchinari
dell’antica fabbrica a cercare qualche altro, interessante, souvenir da portare
con me per meglio suggellare una giornata difficile da dimenticare.
Sento la voce di mio figlio che mi chiama e anch’io,
rispondendo e rassicurandolo, mi avvio alla risalita.
Sui muri d’ingresso della cartiera leggo alcune firme bene impresse
nella nuda pietra che lasciano capire le visite precedenti di Antonio, fratello
di Alfonso, che come lui vive in Inghilterra. Alfonso mi dice che, per loro,
tutte le volte che ritornano ad Amalfi, la visita alla fabbrica paterna è un
rito che si ripete come un pellegrinaggio.
E’ quasi sera, le nubi si sono fatte minacciose e ci
sollecitano prudentemente a intraprendere la via del ritorno. Le emozioni però
non sono finite.
Scendendo la Valle dei Mulini rivedo il terrazzo della casa
di Alfonso, situata nei pressi di un’altra piccola cartiera, che pure fu di suo
padre. Su quel terrazzo, poco più che bambini, abbiamo vissuto gioiosamente e
simpatizzato per alcuni giorni, all’ombra di un fitto e rigoglioso pergolato,
stesi su strisce di ferro appese come amaca.
Poi un lungo silenzio durato quarant’anni! Ore sparite,
sfumate nel nulla, spazzate via dalle vicende delle nostre rispettive vite.
Oggi 9 aprile 1994 il piacere, un grande piacere, di averle
potuto rivivere assieme, col sorriso nel cuore, quello della memoria.