mercoledì 18 luglio 2018

UNA “I” DI TROPPO di Costantino Jadecola

Era l’ultimo giorno di agosto del 1974. Un sabato. Quel pomeriggio ad Aquino si celebrava uno dei grandi eventi del centenario tomistico: l’inaugurazione delle nuove opere d’arte della basilica-cattedrale nel contesto di una solenne cerimonia presieduta da mons. Annibale Bugnini, segretario della Congregazione del culto divino; a far gli onori di casa, oltre al parroco, mons. Giovanni Battista Colafrancesco, c’era il vescovo diocesano, mons. Carlo Minchiatti.
E fu proprio con questi che se la presero, prima che la cerimonia avesse inizio, alcuni cittadini di Roccasecca per via della scritta che era stata posta sulla parete destra della facciata della chiesa a testimoniare l’evento centenario: ‘1274 - 1974 VII Centenario di S. Tommaso di Aquino’.
Secondo gli irati cittadini di Roccasecca, ed era questo che mandava loro in bestia, in quella scritta c’era una ‘i’ di troppo. Quella, per l’esattezza, che stava ad indicare in Aquino l’appartenenza, e dunque l’origine, del Santo: ‘S. Tommaso di Aquino’.
Quel ‘di’, insomma, a parer loro era del tutto fuor di luogo, avendo (notoriamente) l’Aquinate visto la luce in quel di Roccasecca: non ‘di’, allora, bensì una ‘d apostrofo’ che avrebbe reso giustizia alla storia placando l’ira dei paladini della roccaseccanità dell’Aquinate. I quali, peraltro, pretesero che si provvedesse subito ad apportare la reclamata rettifica.
Gli aquinati non è che gradirono molto la cosa: ne parlarono, commentarono l'episodio ma poi ragioni di opportunità e soprattutto di ospitalità nei confronti sia di mons. Bugnini che di mons. Minchiatti consigliarono di fare buon viso a cattivo gioco. Cosicché affollarono la basilica-cattedrale e parteciparono compunti, anche se in cuor loro un tantino adirati per quella ingerenza ‘esterna’, alla solenne ed importante cerimonia.
Non tutti, però. Nel frattempo, infatti, un manipolo di aquinati irriducibili e dunque molto, molto infuriati per quello che non poteva non considerarsi che un vero e proprio affronto consumato, peraltro, tra le pareti domestiche, studiarono la contromossa e l’attuarono in un batter d’occhio. Recatisi nel negozio di stoffe del compianto Costanzo Iadecola in via Giovenale, lì stesso realizzarono, grazie alla presenza nel manipolo di un paio di sarti, uno striscione con un testo breve, preciso e, come suol dirsi, compendioso: ‘San Tommaso È di Aquino’, con una ‘È’ a caratteri cubitali che non lasciava spazio a dubbi di sorta.
L’arrivo in piazza dello striscione fu salutato dall’entusiasmo - e che entusiasmo! - dei fedeli che proprio allora uscivano dalla chiesa tant’è che ci volle il bello e il buono da parte dei ‘fautori’ dello striscione stesso per evitare che la protesta ‘degenerasse’: con la scritta rivolta verso la chiesa, esso, infatti, costituì la punta avanzata, al limite della piazza verso l’accesso al sagrato, di una rumorosa contestazione che costrinse le autorità ecclesiastiche (e chi non condivideva quella manifestazione) a rimanere per molto tempo all’interno del sacro edificio prima di decidersi a guadagnare l’uscita, ma attraverso la più appartata porta della sacrestia.
La cosa ovviamente alimentò ancor più il disappunto degli aquinati i quali, a memoria d’uomo, per la prima volta in assoluto - ma sarebbe stata anche l’ultima - scendevano coralmente in campo a tutelare l’origine aquinate dell’Angelico Dottore attraverso una manifestazione che, a scanso di equivoci, è doveroso precisare non andò, comunque, mai al di là della protesta verbale, anche se, talvolta, un tantino colorita, come del resto capita anche (se non soprattutto) nelle (cosiddette) migliori famiglie.
Il giorno dopo, mentre l’anelato apostrofo sostituiva la ‘i’ nella scritta sulla facciata della chiesa a soddisfare le richieste dei roccaseccani, lo striscione, nottetempo sistemato a dovere (le lettere, infatti, era state solo appuntate con gli spilli), trovava, come suol dirsi, consona collocazione tra i due grandi platani, sempre con la scritta rivolta verso la basilica-cattedrale, a ribadire il suo messaggio: ‘San Tommaso È di Aquino’. E lì rimase per alcuni giorni, fino a quando cioè, approssimandosi il 14 settembre, ovvero il giorno in cui era in programma la vista di Papa Paolo VI, non venne sostituito da un altro, più diplomatico ma non meno eloquente: ‘La città di Tommaso saluta Sua Santità’.
Coloro i quali nel tempo hanno tentato di sottrarre ad Aquino l’onore di aver dato i natali a San Tommaso generalmente e puntualmente hanno evitato di prendere in considerazione alcuni aspetti che se non attengono in modo diretto il nocciolo della questione tuttavia riconducono senza ombra di dubbio ad essa, confermandone l’assunto. Ovvero che San Tommaso nacque in Aquino.
Scrive mons. Rocco Bonanni (Aquino patria di San Tommaso. Tip. Pietro Veratti. Roma, 1903, p. 28): «Non solo gloria si accrebbe ad Aquino con la nascita del Santo ma per essa ottenne anche favori e vantaggi, che altri non ebbe».
L’ultimo dei quali, se così può dirsi, in occasione del concordato del 1818 tra Santa Sede e Regno di Napoli che stabilì la soppressione delle diocesi di Aquino e Pontecorvo. A seguito di tale evento - sarà il caso di ricordare che Aquino contava a quel tempo nemmeno mille abitanti, quindi aveva nessun peso contrattuale - il Capitolo locale manifestò il proprio disappunto a chi di dovere rammentando, scrive Bonanni che «l’origine del Vescovado riandava a S. Pietro Apostolo, e che la città era la patria di S. Tommaso» (Bonanni, idem). Bastò questo perché, con un codicillo, il Concordato venisse modificato. Infatti, «Aquino ebbe la precedenza sulle due altre sedi unite aeque principaliter, in modo che i Vescovi devono prendere sempre per primo titolo Aquino, dove fanno il primo ingresso, mantenendo per le due altre di Sora e Pontecorvo l’alternativa» (Bonanni, idem), cioè ad uno Vescovo di Aquino, Sora e Pontecorvo seguirà un Vescovo di Aquino, Pontecorvo e Sora.
Ma al di là di ciò, che pur costituisce un fatto importante, la cosa veramente degna di nota e mai presa in seria considerazione è costituita da un particolare privilegio di cui Aquino ebbe a beneficiare in epoche in cui se il suo splendore medievale era ormai soltanto un lontano ricordo tuttavia era ben noto che proprio ad Aquino erano da ascriversi i natali dell’Angelico Dottore.
Fu, questo privilegio, quello concesso da re Alfonso di Aragona il 28 novembre 1443, mentre era a Caramanica, in terra d’Abruzzo, con il quale gli aquinati - ‘ipsam Civitatem Aquini, et homines ipsius Civitatis - venivano esentati dalla tassa sul sale e dal pagamento dei ‘pesi fiscali’, ‘ob reverentiam … Beati Thomae de Aquino’.
E non si trattò, beninteso, di un fatto occasionale. Esso, infatti, beneficiò di varie conferme la prima delle quali il 20 dicembre 1446 da parte dello stesso Alfonso d’Aragona mentre si trovava ad Anagni. Vi fu poi la conferma da parte di Federico, successore di Ferdinando II, il 19 novembre e il 5 dicembre 1495 e poi ancora quella del primo Viceré di Ferdinando III il Cattolico, ad istanza della Duchessa di Francavilla, Costanza d'Avalos-d'Aquino, tutrice di Ferdinando Francesco d'Aquino, utile Signore della Contea.
L'ultima conferma del privilegio concesso agli Aquinati, sia a onore e gloria di S. Tommaso ma anche per le devastazioni e stragi sofferte per la fedeltà verso la real famiglia d'Aragona, fu quella fatta da Carlo V al ritornò dalla guerra d’Africa, nella quale, ad avere il comando supremo, fu Alfonso d'Avalos-d'Aquino. Era datata ‘Napoli, 31 dicembre 1536’ (Bonanni, idem, p. 29).
 

 

sabato 7 luglio 2018

LA VISITA DEL RE di Camillo Marino


Quelle mura, che avevano resistito a secoli di barbarie, ora erano un mucchio di macerie: la ferocia imbelle della guerra moderna non aveva risparmiato né storia né arte né memoria, e Montecassino stava lì, coi suoi muri sbrecciati come un grido verso il cielo, col suo carico di pena e di accuse contro l’indifferenza e l’orrore, con lo stesso grido angosciato che dall’altra parte della valle si levava sui monti di Esperia.
Uno dei gesti più luminosi nella breve carriera del “re di maggio” fu venire lì, fra le buche delle bombe ancora aperte, per rendersi conto, per vedere, forse per capire, ma soprattutto per testimoniare una solidarietà da troppo tempo distratta e vestita di viltà.
Fu così che Umberto II, dopo aver visitato Montecassino, venne pure ad Aquino, paese pluribombardato e, per sua sfortuna, ferito dalle vicende della guerra.
Agli aquinati non era mai capitato di avere a che fare con un personaggio così importante! Subito la notizia corse dappertutto come suonasse una fanfara!
Bisognava accogliere il re, occorreva che gli andassero incontro le Autorità del posto, civili e religiose!
Il Sindaco però era assente e fu allora incaricato di fare gli onori di casa “Gions”, che a quei tempi faceva parte del Consiglio Comunale.
Per chi non lo sapesse, “Gions” era il soprannome con cui veniva da tutti chiamato Libero Marino, mio padre; e quel soprannome gli era stato cucito addosso sin da giovinotto, quando recitava nella locale filodrammatica. Infatti, in una recita doveva fare la parte di un americano che si chiamava “Johns” e doveva recitare una battuta che divenne celebre: “Lo so, ma non ho colpa / se dal petto il cuore scappa; / voi mi chiamate Gions / e Gions il cuor vi chiappa…
Così il nostro Gions, col suo bravo seguito di cittadini, si fece incontro all’illustre ospite. Per farlo rinfrescare un po’, il re fu condotto nella locanda “Giovenale” della famiglia Magnapera, nei locali che hanno accolto i primi passi di Tele Universo.
Non è dato sapere cosa si disse all’interno, dato che la memoria storica di questi fatti minimi si perde facilmente; quello che è certo è che la folla cresceva e premeva su porta e finestre con una curiosità sempre più incontenibile.
E quando il re uscì, come un sol uomo, i più esaltati lo presero in braccio e lo portarono in trionfo in un coro di “evviva” per quelle che erano state le vie del paese.
“Ci fosse stata la banda, avrebbe intonato la “Marcia Reale”!”, diceva sempre mio padre, con la sua voce burbera e il suo sorriso sornione.