venerdì 28 settembre 2018

IN MARGINE A “IL GIORNO CHE INCENDIARONO LA SCUOLA” di Peppe Murro

Il “mestiere” dell’insegnante vive di un doppio inganno: da una parte l’oggettiva difficoltà di rapportarsi, e spesso confrontarsi, con una diversa generazione; dall’altra quel colloso legame affettivo che si nutre di giorni e di esperienze comuni dentro quella gabbia o chiesa, comunque la si intenda, che è la classe.
E questo, tralasciando la spesso mortificante “routine” burocratica che l’istituzione scolastica riserva proprio a quanti dovrebbe invece rispettare e, molto spesso, onorare per la dedizione e l’impegno con cui svolgono il loro lavoro.
Il libro di Paolo ne è una garbata testimonianza.
Con una scrittura agile e snella, mai pretenziosa o magniloquente, porta a galla giornate e figure di una realtà densamente umana proprio perché professionalmente difficile. E’ una sorta de “Il maestro di Vigevano” ma con minori cedimenti all’utopia o alla disperazione: personaggi come il sempre affamato Leandri o la solitaria “secchiona” Claretti si integrano perfettamente con la “vamp” Costante e danno consistenza e vitalità ad uno spaccato di quotidianità che altrimenti potrebbe essere solo un quadretto di colore di un giornale quotidiano. Né manca la fotografia di quei docenti che nella scuola realizzano il teatro della loro magniloquente e livida ricerca di autorevolezza, ma si tratta, come deve essere, di figure minori.
Il libro è breve e di tranquilla e piacevole lettura, ma pretende che si legga tra le righe, perché il racconto più autentico, quello non detto, il vero “lavorare stanca” del professore, sta lì, in penombra, nascosto fra personaggi accennati con una lieve tenerezza che li sfiora con rassegnata e delicata partecipazione da dietro il “muro” della cattedra.
E, a ben leggere, si nota la paziente umanità con cui l’insegnante si difende e difende i ragazzi (e se volete l’intera istituzione scolastica), come un vogatore attento in una barca di marinai distratti; vogatore silenzioso che nasconde la sua malinconia, consapevole di un lavoro necessario quanto difficile, che attende come il Minotauro di Borges la sua liberazione… o testardo come l’eroina di “Via col vento” che si riassetta i capelli e sfida la vita: domani è un altro giorno.
Grazie, Paolo.

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