sabato 7 luglio 2018

LA VISITA DEL RE di Camillo Marino


Quelle mura, che avevano resistito a secoli di barbarie, ora erano un mucchio di macerie: la ferocia imbelle della guerra moderna non aveva risparmiato né storia né arte né memoria, e Montecassino stava lì, coi suoi muri sbrecciati come un grido verso il cielo, col suo carico di pena e di accuse contro l’indifferenza e l’orrore, con lo stesso grido angosciato che dall’altra parte della valle si levava sui monti di Esperia.
Uno dei gesti più luminosi nella breve carriera del “re di maggio” fu venire lì, fra le buche delle bombe ancora aperte, per rendersi conto, per vedere, forse per capire, ma soprattutto per testimoniare una solidarietà da troppo tempo distratta e vestita di viltà.
Fu così che Umberto II, dopo aver visitato Montecassino, venne pure ad Aquino, paese pluribombardato e, per sua sfortuna, ferito dalle vicende della guerra.
Agli aquinati non era mai capitato di avere a che fare con un personaggio così importante! Subito la notizia corse dappertutto come suonasse una fanfara!
Bisognava accogliere il re, occorreva che gli andassero incontro le Autorità del posto, civili e religiose!
Il Sindaco però era assente e fu allora incaricato di fare gli onori di casa “Gions”, che a quei tempi faceva parte del Consiglio Comunale.
Per chi non lo sapesse, “Gions” era il soprannome con cui veniva da tutti chiamato Libero Marino, mio padre; e quel soprannome gli era stato cucito addosso sin da giovinotto, quando recitava nella locale filodrammatica. Infatti, in una recita doveva fare la parte di un americano che si chiamava “Johns” e doveva recitare una battuta che divenne celebre: “Lo so, ma non ho colpa / se dal petto il cuore scappa; / voi mi chiamate Gions / e Gions il cuor vi chiappa…
Così il nostro Gions, col suo bravo seguito di cittadini, si fece incontro all’illustre ospite. Per farlo rinfrescare un po’, il re fu condotto nella locanda “Giovenale” della famiglia Magnapera, nei locali che hanno accolto i primi passi di Tele Universo.
Non è dato sapere cosa si disse all’interno, dato che la memoria storica di questi fatti minimi si perde facilmente; quello che è certo è che la folla cresceva e premeva su porta e finestre con una curiosità sempre più incontenibile.
E quando il re uscì, come un sol uomo, i più esaltati lo presero in braccio e lo portarono in trionfo in un coro di “evviva” per quelle che erano state le vie del paese.
“Ci fosse stata la banda, avrebbe intonato la “Marcia Reale”!”, diceva sempre mio padre, con la sua voce burbera e il suo sorriso sornione.

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