In ricordo di Florio Franchini
Non dovrebbe accadere, ma purtroppo accade.
Giovani vite spezzate improvvisamente. Momenti in cui ci si ferma a riflettere
sull’inesorabilità del destino, sulla precarietà dell’esistenza umana e ci si
abbandona al ricordo intimo e personale di quei cari e sfortunati amici prematuramente
scomparsi. In quei casi mi chiedo spesso “quand’è che l’ho visto l’ultima volta?
Quand’è stato che ci siamo incontrati? Un saluto veloce, un cenno con la testa,
due chiacchiere di circostanza?… ma quando?”.
Ricordo l’ultimo scambio di saluti con Angelo
Capraro, sempre sorridente, davanti ad una tazzina di caffè in un bar della
piazza del paese. Mi trovavo proprio in quello stesso bar quando, tempo dopo, appresi
di quello sciagurato schianto mortale sulla superstrada, all’altezza di
Sant’Elia Fiumerapido. Ricordo inoltre un rapido saluto ad un altro amico,
Giovanni Cerasi. Era una sera in piazza. Passeggiava con le mani in tasca e mi
diede la sensazione di essere molto maturato rispetto ai tempi delle scuole
medie. Ancora un incidente d’auto, questo in zona Fiat. E poi ricordo con
affetto Florio Franchini e con lui una fanciullezza spensierata che non c’è più.
Eravamo tutti del 1979. Tutti compagni nella
scuola del paese, al tempo delle medie. Con Florio feci subito amicizia, una
rarità per il mio carattere schivo ed introverso. Al contrario Florio era un
burlone, che amava coinvolgere le persone attorno a lui. Marchingegnava scherzi di ogni tipo e spesso anche di cattivo
gusto, tant’è che sovente era il solo a divertirsi. E la sua risata era
riconoscibilissima: fragorosa, rumorosa e contagiosa. La sua stessa figura era
inconfondibile. Lo ricordo, già intorno ai 12 anni circa di età, avvicinarsi
agevolmente al metro e ottanta di altezza e superare i 90 chili di peso, ma con
l’agilità di un ragazzino, quale era in realtà. In assoluto la sua mole, il torace
prominente, le ampie spalle e il viso tondo e pieno, erano un marchio
identificativo caratteristico. Se si avvicinava, “faceva ombra”. Tuttavia
bastava guardarlo negli occhi per capire che non avrebbe fatto del male ad una
mosca.
Dell’amico Florio il ricordo più bello che
conservo fu di quel giorno in cui pianificammo assieme il primo “filone”.
Marinammo la scuola, insomma, vagando per il paese senza meta. Non fu bello il
gesto, ovviamente, né l’idea di premeditare una cosa così stupida. Il bello di
quella circostanza è che adesso, a distanza di oltre 20 anni, esso costituisce
il più nitido ricordo che ho di un amico scomparso.
Trascorremmo quella una mattinata “galeotta” su
un’altalena nei pressi delle Case Valli a cantare “attenti al lupo” di Dalla,
per vedere se conoscevamo tutte le parole. Ogni tanto Florio diventava serio, raccomandandosi
con me, affinché non dicessi niente di un’avventura così “trasgressiva” (era
così che la vedevamo). Tuttavia filò tutto liscio, almeno quella fu la prima
impressione che ebbi quando feci ritorno a casa. La cosa incredibile, della
quale rido ogni volta che ci penso, è che, mentre io riuscii a tenere il nostro
segreto, Florio cedette subito. Suo padre Pasquale, persona distinta e oggi un
amico, lo “colse in castagna” praticamente subito e, almeno dal racconto
desolato che mi fece Florio stesso, lo “spinse contro il muro costringendolo a
vuotare il sacco”. Ancora oggi non riesco ad immaginare la scena di quel
ragazzone sbattuto come uno straccio. Fatto sta che Florio confessò di aver
avuto un “complice” nel “fattaccio” e fece il mio nome. Pasquale chiamò a casa
per avvisare i miei, con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Eppure
quell’episodio non glielo feci pesare più di tanto. Forse inconsciamente temevo
di perdere un amico se gli avessi rinfacciato quell’episodio di “alto
tradimento”.
Gli anni delle medie, comunque, finirono e
ognuno andò per la sua strada. Ci perdemmo di vista. Era una cosa che forse
sapevamo sarebbe accaduta prima o poi. Ricordo che lo rividi alcuni anni dopo
fuori del locale in cui la mia classe aveva organizzato e stava festeggiando il
Mak P 100 del liceo. Era molto cambiato, dimagrito, portava i capelli lunghi e
la sua crescita in qualche modo aveva avuto un rallentamento, sebbene la stazza
fosse comunque “importante”. Ci salutammo, senza troppi entusiasmi a dire il vero.
Mi chiese di aiutarlo ad entrare, per prendere parte alla festa come “imbucato”… non ricordo altro.
Qualche tempo dopo seppi della sua morte.
Qualcuno gli tagliò la strada mentre guidava la sua vespa. Un altro tragico
incidente. Una giovane vita spezzata…. ancora.
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