lunedì 1 settembre 2025

IL PALIO di Libero Marino

 



“Papà, guarda, sulla torre ci sono le bandiere”. Sono le parole di mia figlia che, puntualmente, da dietro il vetro del finestrino della mia auto, quando passiamo dalle parti del borgo medievale, mi indica – raggiante – quell’arcobaleno di colori che fa capolino su uno dei posti più iconici della città. Quella torre che – anticamente – rappresentava uno strumento di difesa e che oggi, “mutatis mutandis”, è puro incanto per i nostri occhi, sontuoso biglietto da visita della città. Aquino, in questo particolare segmento d’anno, riscopre di colpo lo splendore e la magia: fermi tutti, c’è il Palio. E’ il momento solenne delle celebrazioni e delle tradizioni, e la comunità aquinate si specchia orgogliosa nel proprio nobile passato: un esercizio che serve a immaginare un altrettanto nobile futuro. Aquino è una terra di mezzo, generosa e graziosa, situata a metà strada tra Roma e Napoli. Un luogo ricco di storia e ammantato di blasone. L’antica Aquinum, un tempo, costituiva un crocevia fondamentale, era snodo ineluttabile, passaggio obbligato. Non lo diciamo per civetteria o per narcisismo: la storia insegna e la cronaca conferma. Il nostro paese trabocca di tracce importanti un po’ ovunque: dalla celebre via Latina di San Pietro Vetere (che un tempo costituiva l’agglomerato urbano cittadino) fino al suo versante meridionale di San Marco e Filetti, tutto, qui, parla di storia. Il Palio della Contea di Aquino è solo un puntino nella secolare storia cittadina. Manifestazione giovane (tra pochi giorni andrà di scena l’ottava edizione), è destinata a diventare tradizione che sarà tramandata di padre in figlio. Perchè le nuove leve di oggi saranno i veterani di domani. Lo diceva, del resto, anche il nostro Giovenale: “maxima debetur puero reverentia”, al fanciullo bisogna portare grandissimo rispetto. Gli aquinati lo sanno e non vogliono disperdere questo prezioso patrimonio, altrimenti darebbero ragione a quel Cicerone che, al tempo della costruzione dell’arco di Marcantonio (I secolo a.C.), li definì sprezzantemente stolti. Quell’arco eretto a ridosso di un altro luogo simbolo cittadino, come la chiesa della Madonna della Libera, a testimonianza dell’opulenza artistico-architettonica aquinate. Otto contrade, dal 2014, si cimentano in giochi di destrezza e abilità ispirati alla tradizione popolare. Tre giorni da brividi in cui la secolare agorà, piazza San Tommaso (una delle tante cartoline aquinati), tornerà ad antichi fasti in un tripudio di suoni e colori. Sarà, ancora una volta, una festa straordinaria con tanti invitati. Intorno alla mezzanotte di domenica 7 settembre vedremo chi spegnerà le candeline della torta. Fuor di metafora, la vittoria rappresenta solo un mero particolare. A vincere, infatti, sarà un intera comunità, capace di dare l’ennesima dimostrazione di compostezza e senso civico, in linea con i valori incarnati dal Palio. Un evento unico e trasversale, i cui prodromi possono rinvenirsi nei “Giochi senza frontiere” degli anni Ottanta. Una comunità divisa dai giochi e dalla sana rivalità, che, però, in questo periodo dell’anno si riscopre bellissima e coesa dietro a un unico denominatore: l’aquinità. Che, tradotto, significa senso di appartenenza, fedeltà e attaccamento alle proprie radici, affermazione forte di identità. Un ruggito virulento di orgoglio, la cui eco si avverte forte lungo l’Italia dei tanti comuni. Aquino si fa comunità, appunto, e va oltre gli steccati, facendosi beffe delle immancabili polemiche e delle discussioni sterili. Il nostro popolo, del resto, ne ha passate tante, ha, come si dice, le “spalle larghe”: dominazioni, malattie, bombardamenti. Ma è stato anche fiorente Contea, che – dal VIII al XV secolo – ha dominato i tanti paesi circostanti, ha battuto moneta in epoca romana, ha dato i natali a gente come Pescennio Negro, Giovenale e San Tommaso. Il grandissimo Santo di cui facciamo sempre vanto. Allora, popolo aquinate, alzati in piedi e accingiti ad applaudire, comunque vada, i tanti atleti che hanno sacrificato tutto, in questi lunghi mesi di preparazione, per essere all’altezza del grande evento. Sostieni le otto formazioni cittadine, rendi omaggio al Comitato organizzatore che, con l’ausilio dell’amministrazione comunale, si appresta a confezionare un altro piccolo miracolo. Auguri a tutti i contradaioli e ai loro sostenitori: tutta la città, abbellita come raramente si vede, vi guarda. Onorate il Palio!


sabato 30 agosto 2025

GLIU' PALIE di Camillo Marino

 


Aquin s’è ‘nfiucchettat a festa
p’ gliu Palie’ ha miss la vesta
p’ l’ strad quanta bandier
l’hann fatt pur cu gli bicchier
ogn cuntrada te’ nu’ culor
le gente n’ parla a tutt l’or
gliu’ iorn d’lla sfida è arrivat
l’ squadr su’ pront p’ l’ sfilat.
E’ sera la folla è rumurosa
gliu’ tif prima d’ogni cosa
ognun spera p’ la cuntrada sia
mettennece no gliu’ cor bia.
Cumenza la giostra degli gioch
gl’aquinat npiazza ‘n su poch
gliu’ Palie è cumenzat cu ardor
vincess la cuntrada la miglior!!!



giovedì 28 agosto 2025

DUE NOVEMBRE di Paolo Secondini


La nonna accende due ceri sul davanzale della finestra, piccoli e gialli come la polpa di un melone. La loro fiammella tremola all’aria della sera, si contorce, si assottiglia, quasi si estingue, poi si ravviva, tremola ancora.

«Nonna,» le chiedo, «perché quei ceri?»

«Per rischiarare il cammino ai defunti che vanno in processione. Tu non li vedi ma loro son lì, nella strada, e vedono te. Tu non li senti ma cantano in coro le lodi del Signore.»

Il pensiero di essere visto dai defunti, che immagino orribilmente spettrali, mi atterrisce.

Mi ritraggo dalla finestra (sento il mio cuore battere all’impazzata) e stringo le braccia attorno alla vita della nonna e premo il mio viso contro il suo petto rassicurante. Trattengo il respiro, chiudo gli occhi, serro le labbra. Dopo un poco sento la mano di lei accarezzarmi i capelli, la sua voce parlarmi con dolcezza:

«Non temere, piccolo mio! I morti non sono cattivi, non fanno alcun male. Si trovano tutti nella grazia di Dio.»

Le sue dita si muovono soavemente tra i riccioli della mia testa.

Non del tutto tranquillizzato, mi discosto dalla nonna e torno alla finestra per gettare lo sguardo nella strada, a destra e a sinistra…

Non vedo che ombre serene della sera.

«Ma perché i morti vanno in processione?» domando apprensivo. «Cosa vogliono, nonna?»

Mi accarezza di nuovo i capelli poi, con voce dolce, tranquilla:

«Il due novembre,» dice, «ripercorrono i luoghi in cui vissero un tempo, da uomini vivi, per rivedere le strade, le case, i loro cari. Non vogliono altro che noi siamo buoni, e pregano tanto per la nostra salvezza.»

«Oh!» L’esclamazione mi sfugge di bocca: sembra quasi un suono non mio, ma venuto da lontano.

La nonna mi prende il viso tra le mani e, per un istante, mi fissa negli occhi; poi si curva a baciarmi la fronte. «Piccolo mio,» sussurra alla fine, «la nonna ti vuol tanto bene. È qui con te. Ella ti stringe tra le braccia. Ma fino a quando?» Rimane in silenzio per soffocare un tremito lieve nella voce. «Un giorno,» aggiunge, «accenderai anche tu dei ceri sul davanzale della finestra… li accenderai per la nonna.

 

 

lunedì 25 agosto 2025

COSTANZO VESCOVO: UN SANTO, UN PROFETA di Paolo Secondini

 


Mite, gentile, generoso (come ci viene tramandato), Costanzo fu vescovo di Aquino nel VI secolo, un periodo storico assai turbolento dal punto di vista politico e militare. La nostra penisola, infatti, conobbe dapprima l’invasione degli Ostrogoti, poi la cruenta guerra tra Bizantini e Goti e infine la devastante invasione dei Longobardi. Di fronte a tali calamità, Costanzo diede prova di straordinaria forza spirituale, grazie alla quale fu di grandissimo aiuto alla comunità aquinate, specie quando carestie e pestilenze non la risparmiarono.
Purtroppo, di Costanzo abbiamo scarse notizie biografiche: ignoriamo perfino il suo luogo di nascita.
Egli ebbe ad Aquino la sede vescovile (probabilmente in un palazzo adiacente alla cattedrale), prima che questa fosse trasferita, almeno dal punto di vista operativo, a Pontecorvo, precisamente con il vescovo Filippo Filonardi (1588).
Le poche informazioni su Costanzo, giunte fino a noi, ci sono tramandate da Gregorio Magno nel libro dei Dialoghi, dove sono però riportati soltanto due episodi relativi alla vita del vescovo. Di questi episodi Gregorio non fu testimone diretto, essendo piuttosto giovane quando Costanzo morì. Li apprese, in seguito, da alcuni chierici di Aquino, da monaci dell’abbazia di Montecassino e da altre fonti locali.
In questi episodi, egli volle soprattutto evidenziare due aspetti eccezionali di Costanzo, che contribuirono in modo determinante a definirne la figura: la santità e il dono profetico.
Quanto al primo episodio, Gregorio ci narra di un chierico aquinate che, posseduto dal demonio, fu mandato da Costanzo perché lo liberasse dal maligno. Ma siccome il vescovo riteneva di non essere degno né in grado di esorcizzarlo (in quanto mancava di poteri taumaturgici), volle che fosse accompagnato a Montecassino da Benedetto da Norcia. Di questi (con cui ebbe sempre degli ottimi rapporti), Costanzo riconosceva l’assoluta purezza di spirito, che lo rendeva più vicino a Dio di qualsiasi altro uomo e la capacità di operare miracoli.
Non appena il chierico fu finalmente liberato dal demonio, non solo si riconobbe la santità di Benedetto, ma anche quella di Costanzo, in virtù della sua umiltà e fede incrollabile.
Il secondo episodio rivela l’esistenza di doti profetiche in Costanzo che, sentendo avvicinarsi l’ora della sua morte, predisse che dopo di lui vescovo di Aquino sarebbe stato eletto uno stalliere e, successivamente, un tintore. E infatti avvenne che, morto Costanzo, fu nominato vescovo il diacono Andrea, ex stalliere, e dopo di questi un tale Giovino, ex tintore.
Dopo la loro morte, trascorse moltissimo tempo prima che Aquino avesse un nuovo vescovo.


giovedì 21 agosto 2025

CONTADINI, UN TEMPO di Paolo Secondini

 


Li sentivo passare di prima mattina, sotto la mia finestra. 

Andavano verso campagna a fiaccarsi le membra fino 

al tramonto, solo con piccole soste: il tempo di bere 

un po’ d’acqua, mangiare qualcosa, drizzare la schiena ricurva, 

asciugarsi il sudore sul viso. Poi nuovamente fatica: 

braccia e vanga, continuo ansimare nel freddo

o nell’afa, nel vento… nell’essere soli.


CHISSA' CHE NON FOSSE COSI'

 


A chi non piace immaginare come poteva essere Aquino nel Medioevo, magari proprio al tempo di Tommaso d’Aquino? Spesso, percorrendo il vicolo San Costanzo – che attraversa ciò che rimane dell’Aquino medievale, con resti delle tre torri, mura perimetrali e palazzo comitale – sembra respirare (e persino odorare) l’aria di quell’epoca storica: XIII secolo, quando Tommaso era bambino e i suoi lo inviarono, come oblato, nella vicina abbazia di Montecassino, e poi a Napoli, per studiare nella sua famosa Università. Chissà che l’Aquino di quell’epoca non fosse come l’Intelligenza Artificiale l’ha generata? Forse non proprio uguale, ma, più o meno…

 

 


mercoledì 30 luglio 2025