Il 2 febbraio 1956,
giorno della Candelora, fu una giornata indimenticabile, specialmente per i
ragazzi di allora.
Eravamo a scuola quando
cominciò a cadere una neve fitta e copiosa. Fu l’inizio d’una nevicata senza precedenti,
che durò circa un mese. La neve caduta raggiunse una misura considerevole,
prossima al metro.
Erano altri tempi! Il
benessere d’oggi, malgrado il momento di congiuntura, era allora una meta ben
lontana, difficile da raggiungere.
Le famiglie più
fortunate si scaldavano al fuoco del camino a legna. Molti, invece, facevano
ricorso al modesto braciere. Oggi il braciere è diventato un oggetto
decorativo: lo si vede sovente, nelle case, adibito a fioriera.
Come pure è fuori uso lo
scaldaletto, oggetto divenuto anacronistico, e anch’esso destinato, per
civetteria, ad abbellire le abitazioni.
Ma torniamo alla
memorabile nevicata del ’56. Le scuole
rimasero chiuse per molti giorni. Noi ragazzi il freddo, quasi, non lo
sentivamo.
L’appuntamento
quotidiano era fissato in piazza o nelle strade più note e facilmente
transitabili del paese, per darci battaglia con le palle di neve.
Accadeva di frequente
che per scaldarci le mani facevamo ricorso agliu
zinzere.
Ma che cos’era gliu zinzere? Con questo termine dialettale
solevamo indicare l’incensiere, ovvero quell’oggetto in uso nelle chiese,
durante lo svolgimento di messe o altre funzioni religiose, dentro il quale
bruciava l’incenso necessario ai riti medesimi. Più precisamente si tratta di
un piccolo recipiente metallico a forma di coppa o calice con coperchio legato
a delle catenelle che lo fanno muovere nel momento in cui il celebrante sparge
l’incenso. Io, come molti miei coetanei, avevo appreso il modo assai originale
di scaldare le mani dalle generazioni di ragazzi che ci avevano preceduto.
Un semplice barattolo di
quelli che conservano, ad esempio, i pelati o i fagioli, qualche foro sul fondo
o sulle pareti dello stesso, un filo di ferro o spago usato per dare il
movimento necessario a tener vivo il fuoco sottratto a qualche braciere o
camino.
Si costruiva così gliu zinzere! Era un efficace, ingenuo
espediente per proteggerci le mani dal freddo pungente di quel terribile
inverno. Intanto, giorno dopo giorno, si aggiungeva neve ad altra neve. Un
paesaggio da fiaba, quasi irreale, ci accompagnò per lunghissimo tempo.
Non di rado accadeva
dare una mano ai grandi: spalare la neve vicino agli usci delle case, o
alleggerire i tetti che si erano appesantiti a dismisura e destavano qualche
preoccupazione.
Quello che ad altri
poteva sembrare un immane fatica, a noi ragazzi pareva un fantastico gioco, un
modo non poco entusiasmante per fare gruppo e divertirci spensieratamente. Ignoravamo
totalmente la disastrosa situazione di molte persone che, non potendo svolgere
la loro abituale attività di lavoro, non percepivano più il salario, oppure di
quelli che, lavorando la terra, erano costretti a rinunciare alle colture, alle
loro consuete produzioni.
Non potevamo essere
coscienti di tanta precarietà. Come si poteva esserlo a poco più di dieci anni
di età? Ma, oggettivamente, la situazione, con il passare dei giorni, con nuove
nevicate, era divenuta pesante, quasi insopportabile.
Nella mia memoria si
sono alquanto sbiaditi o del tutto cancellati altri momenti di quelle giornate
vissute tanto intensamente, con fanciullesca allegria ma con l’angoscia e la
preoccupazione di tante persone adulte. IL sole portò via la neve. Le braccia
di molti ripresero le attività di sempre. Ritornò finalmente l’ottimismo e gli zinzere sparirono… almeno fino
all’inverno seguente.
Nessun commento:
Posta un commento