lunedì 18 giugno 2018

AQUINO NEl MEDIOEVO di Angelo Nicosia

Il vescovo Iovinus muore quando già la città è occupata dai Longobardi Beneventani, l'arrivo dei quali segna per Aquino l'inizio della sua storia medievale documentata. Gregorio Magno, che nei Dialogi ricorda l’avvenimento, rimarca come il vetusto municipio romano avesse molto sofferto al primo impatto con i conquistatori e per il contemporaneo imperversare della peste, tanto che la popolazione risultò così decimata che non fu possibile trovare un successore alla morte del vescovo. È possibile, perciò, che gli Aquinati superstiti avessero momentaneamente abbandonato il centro urbano e la pianura per riparare in luoghi appartati e sui monti vicini.
Dalle notizie di Gregorio Magno si può supporre che l'occupazione di Aquino da parte dei Longobardi, sotto il comando del duca di Benevento Zottone (+590/1), possa datarsi verso il 587/589, all'indomani della presa di Montecassino. Come era avvenuto per le altre regioni settentrionali dell’Italia, anche qui la penetrazione longobarda dovette essere rapida e fluida per la debolezza delle difese lungo le vie consolari dell’entroterra, difese che i Bizantini invece dovevano aver rafforzate in direzione della zona costiera per impedire la conquista dei vitali scali marittimi.
Non abbiamo alcun elemento concreto per determinare l’estensione del territorio occupato dai Longobardi in questa prima fase, tuttavia possiamo ritenere che l’occupazione avesse interessato gran parte degli antichi territori municipali di Cassino, Interamna Lirenas e Aquino, in pratica tutta la vallata e i primi rilievi montuosi circostanti. Da quel momento e, vedremo, per oltre un secolo il territorio aquinate rappresenterà l'estremo possesso dei Beneventani verso il Ducato Romano. Gli studiosi concordano nel fatto che, con l’occupazione longobarda, Aquino diviene capoluogo di questo distretto di confine e che la sede dell'amministrazione o del comando militare sarebbe comunque da ricercare in qualche luogo sul terrazzo situato nell'area sud-est della città romana (tra la Porta S. Lorenzo e la località Fontana Malanova). Si può ritenere che non molto tempo dopo, quando si attenua l’impeto iniziale e si delinea chiaro il proposito dei nuovi arrivati ad una permanenza stabile sul nostro territorio, gli abitanti nascosti e dispersi nei luoghi circostanti ritornino nelle sedi prima abbandonate.
Paolo Diacono scrive nella Historia Langobardorum che l'espansione longobarda verso il Ducato Romano riprende nel 702 con il duca Gisulfo I, il quale estende la conquista fino ad Arce, Arpino e Sora. Con l'occupazione di Sora la sede del comando del distretto del Liri viene trasferita da Aquino a questa città. L’espansione del 702, che rinsalda il confine settentrionale, costituisce il presupposto per una emergente dominazione longobarda nell’Italia meridionale. Nel 774, abbattuto dai Franchi il Regno Longobardo nel nord Italia, il duca di Benevento Arechi II non solo riesce a conservare la sua indipendenza, ma sotto la spinta dell’orgoglio nazionale accoglie tutti i profughi del nord ed eleva il ducato a principato con chiaro significato anti-franco.
La storia della “Longobardia Minore” (così vengono definiti dagli studiosi questi territori longobardi) nel secolo seguente è caratterizzata da una sequenza di feroci lotte interne per l’autonomia, che coinvolgono anche forze esterne. Durante queste lotte si ricorse all’aiuto dei Saraceni che devastarono il territorio con continue scorrerie causando lo spopolamento delle campagne. I Chronica s. Benedicti Casinensis ricordano che nell’846 i Saraceni occuparono Aquino e saccheggiarono Arce.
Nell’849 viene sancita la divisione nei due principati di Benevento e di Salerno; nell’856 si avvia il processo di autonomia della contea di Capua da cui dipende il gastaldato del Liri. Nell'858, per il suo intervento in favore del principe di Salerno, viene concesso al duca di Spoleto il territorio del confine settentrionale con Sora, Arpino, Atina e Vicalvi. Con questa concessione Aquino torna ad essere capoluogo del Gastaldato del Liri.
I Chronica s. Benedicti Casinensis ci hanno trasmesso anche il nome del gastaldo di Aquino, Rodoaldo, e la sua curiosa e sfortunata storia. Verso l’860 Rodoaldo costruisce un castello nel villaggio di Aquino presso il Ponte curvo (oggi Pontecorvo) per sottrarsi dalla dipendenza del conte di Capua, il quale però tentava in tutti i modi di impedirlo. Durante la spedizione antisaracena dell’imperatore Ludovico II nell’Italia meridionale, Rodoaldo in qualche modo riesce ad avere tregua dai Capuani. Con la morte dell’imperatore nell’875 si ridestano le discordie in Campania e il nostro gastaldo torna a sentirsi insicuro tanto che si rivolge per aiuto ad un tal chierico Magenolfo che vantava aderenze presso la corte imperiale per aver sposato una nipote dell’imperatrice. Magenolfo accetta l’invito e si reca con la famiglia, con i servi e con tutte le suppellettili nel castello del Ponte curvo, ma alla fine tanto riesce a tramare che mette in prigione Rodoaldo e i due suoi figli e si impadronisce del castello e dei suoi vassalli. Dopo tale episodio di Magenolfo non si ha più notizia, mentre i documenti ricordano dopo di lui come gastaldo di Aquino Rodiperto e nel 949 il nipote di questo Atenolfo II Megalu.
Atenolfo II Megalu è certamente uno dei più importanti signori di Aquino, durante il suo governo, non solo viene realizzata la trasformazione del gastaldato in contea, ma riprende vigore la vecchia sede di Aquino, dove probabilmente proprio lui costruisce la residenza comitale fortificata sullo scoglio di travertino di fronte all’abitato medievale, in pratica corrispondente al moderno centro storico. La coesistenza dei due luoghi contigui e topograficamente distinti si rileva anche da un passo della Storia dei Normanni di Amato di Montecassino dove a proposito di Aquino si menzionano “la roche et la cité”. Nella citata residenza fortificata probabilmente è da riconoscere l’“Aquinense pretorium” citato successivamente nella cronaca di Leone Ostiense e nei documenti e che perciò alcuni studiosi moderni chiamano “castello pretorio”. A partire dal governo di Atenolfo II, infatti, i documenti ci assicurano che nella residenza aquinate si trova il palazzo comitale da dove è esercitata la giurisdizione amministrativa e giudiziaria su tutto il territorio della contea che si estendeva fino ai moderni comuni di Santopadre, Terelle, Pastena ed Esperia.
Tenace oppositore della politica espansionista di Montecassino, nel 953 Atenolfo II Megalu riesce ad imprigionare lo stesso abate Aligerno conducendolo ad Aquino e sottoponendolo a pubblica umiliazione. Alla sua morte, nel 984, la contea appare divisa in due parti: una pertinente a Pontecorvo in cui troviamo come successore il primogenito Guido e la seconda, più specificatamente aquinate, con gli altri figli Landolfo I, Siconolfo II e Atenolfo III Summucula. Ma è quest'ultimo che di fatto eredita la contea di Aquino e che continua la politica anticassinese del padre. Durante la sua amministrazione, infatti, nel quadro dei difficili rapporti con Montecassino, vengono fondati nel territorio aquinate i castelli di Castrocielo e di Roccasecca. Nella seconda metà del secolo X sorgono anche i castelli di S. Giovanni Incarico e di Teramen (questo ubicato all’estremità orientale della città romana di Interamna Lirenas).
Ad Atenolfo III Summucula succede un non meglio conosciuto Atenolfo IV, durante il dominio del quale le due parti della contea vengono di nuovo riunite sotto un unico comitato. Tuttavia, tra i dominatori longobardi di Aquino, quello che raggiunge il più alto grado di potenza e di popolarità è il successore Atenolfo V. Sotto il suo dominio la città viene abbellita di nuove costruzioni e di fortificazioni e viene ristabilita l'autorità vescovile sulla diocesi. Pur continuando ad esercitare il comitato su Aquino, nel 1045 Atenolfo V viene eletto console e duca di Gaeta e fin tanto che rimane in vita l'espansione normanna non riesce a penetrare nella regione dell'attuale Lazio meridionale. Morto però Atenolfo V il 2 febbraio 1062 (il suo epitaffio fu scritto dall'arcivescovo di Salerno Alfano), il principe normanno di Capua, Riccardo, nel 1064 si impadronisce prima di Gaeta e l'anno seguente della contea di Aquino.
Con la conquista normanna la contea viene confiscata e poi divisa in feudi assegnati ai fautori locali del principe di Capua, ai suoi comandanti militari e all’abate di Montecassino. I discendenti di Atenolfo V riescono a conservare solo i possedimenti di spettanza familiare mentre il titolo di conte di Aquino viene assegnato a Guglielmo di Montreuil. Dopo la morte di questi nel 1070, il principe assegna di nuovo il titolo ad Atenolfo VII, il quale, venuto in dissidio con Montecassino, perde di nuovo il titolo in favore dell'abate cassinese, fatto questo che provoca un'insurrezione dei cittadini aquinati. Per alcuni anni Aquino continua ad essere interessata prima dalla guerra tra il principe di Capua Riccardo e suo figlio Giordano e poi dai vari tentativi di ribellione dei baroni filoimperiali di ceppo longobardo contro i Normanni fìlopapali.
In questo periodo, secondo Giovanni Carbonara, e più precisamente tra il 1070 e il 1090, durante una fase di buoni rapporti con Montecassino, andrebbe collocata la costruzione dell’edificio di impianto “desideriano” di Santa Maria della Libera, forse come ricostruzione di una precedente chiesa.
È questo anche il periodo in cui i vari discendenti dei conti di Aquino cominciano ad acquisire titoli e feudi al di fuori dei confini della vecchia contea, e tra questi i feudi vanni segnalati quelli di Vicalvi, Isoletta e Atina. Alla fine delle lotte di supremazia nella zona, nel 1110 troviamo come conte di Aquino Landone III e nel 1123, come capo riconosciuto della dinastia, Atenolfo VIII, conte di Atina. Subito dopo i conti di Aquino appaiono imparentati con la famiglia del celebre monaco cassinese Pietro Diacono.
Nel 1148 Rinaldo I d'Aquino è feudatario di Roccasecca, e nel 1157 entra in possesso della metà di Monte S. Giovanni che, in aggiunta alla metà già posseduta dai nipoti, figli del fratello Pandolfo, diviene feudo exclave dei d’Aquino nello Stato Pontificio. Dal figlio di uno di questi nipoti, Atenolfo, signore di Alvito, discenderà Tommaso I che, per il suo valore militare, nel 1221 otterrà dall’imperatore Federico II il titolo di conte di Acerra, titolo per altro che era  già stato assegnato dal re normanno Guglielmo II al loro congiunto Riccardo, figlio del citato Rinaldo I. Gli eredi di Atenolfo di Alvito diventeranno poi conti  di  Loreto. I discendenti di questo ramo nel 1442 otterranno dal re Alfonso d'Aragona il titolo di marchesi di Pescara.
Dopo la morte del re Guglielmo II il menzionato Riccardo parteggia per Tancredi e per questa ragione gli vengono confiscati i feudi dall’imperatore Enrico VI. Nel 1201, tuttavia, Aquino viene restituito, insieme agli altri feudi, a Rinaldo II e Landolfo, figli di Aimone I, fratello di Riccardo, che si erano schierati con il papa Innocenzo III al tempo che questo aveva la tutela sul piccolo Federico II. Con la morte di Rinaldo II, Landolfo resta unico erede nei feudi della media valle del Liri. Da questo Landolfo e dalla sua seconda moglie Teodora nasce verso 1225 il celebre teologo e santo Tommaso d’Aquino.
Dopo la morte di Landolfo, Aquino e gli altri feudi della zona risultano divisi in porzioni tra i vari eredi della famiglia. L’incremento ulteriore del patrimonio, anche in seguito ai matrimoni contratti dai discendenti in diverse località del Regno di Napoli diede origine ad una vasta rete di relazioni feudali. Proprio a causa della frammentazione dei patrimoni e dell’estensione delle parentele, le vicende di tali feudi ebbero sorti diverse secondo le differenti scelte politiche dei vari rappresentanti della famiglia spesso in maniera autonoma e distaccata dai legami originari con Aquino. Ad esempio la maggior parte dei fratelli di S. Tommaso, avendo aderito, seguendo l’esempio del cognato Guglielmo Sanseverino, alla “congiura di Capaccio”, subiscono la pesante vendetta di Federico II: Landolfo figlio e Reginaldo vengono giustiziati, mentre gli altri riescono a malapena a mettersi in salvo nella Campagna Romana. Alla congiura non aderisce però l’altro fratello Filippo, che perciò continua a possedere la sua porzione dei beni paterni e può trasmetterli al figlio Pandolfo II. Nel 1266, con la venuta di Carlo d’Angiò, i primi vengono reintegrati nei loro beni, mentre Pandolfo II, ribellatosi durante la discesa di Corradino nel Regno di Napoli, viene ucciso e i suoi diritti feudali vengono assegnati a suo zio Rinaldo II. Quest’ultimo è da identificarsi con quel Rinaldo d’Aquino rinomato poeta in volgare della Scuola Siciliana.
Con l’improvvisa morte di Federico II nel 1250, si riaccendono più violente e diffuse le ribellioni alimentate dal papa Innocenzo IV, solo in parte e con difficoltà sedate da Manfredi. Messo a tacere il partito filopapale in Germania, all’inizio del 1252 Corrado IV sbarca con il suo esercito in Puglia ricongiungendosi con le truppe di Manfredi. Falliti i negoziati con il papa per ottenere l’investitura del Regno di Sicilia e la successione nell’impero, egli ordina subito la punizione dei ribelli. I cronisti del tempo, Niccolò Jamsilla e Matteo Spinelli, ricordano come tra i più attivi partigiani del papa vi fossero i conti di Aquino e che la punizione inflitta da Corrado agli Aquinati fu pesante perché la città venne bruciata e rasa al suolo.
Gli studiosi sono concordi nel ritenere che la città ricordata dai cronisti che subì la distruzione è da intendersi l’abitato nell’antico sito romano, che da quel momento più non si riebbe e determinò la lenta e inesorabile decadenza di Aquino.

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