L’interesse
nei confronti della cosiddetta archeologia industriale, ovvero, più in
particolare, della storia dell’industria cartaria - che insieme a quella
laniera costituì un patrimonio di consistente entità specialmente per l’alta
Terra di Lavoro - non può escludere dal novero di un tal genere di iniziative
il ruolo avuto dalla cartiera Pelagalli di Aquino al cui ricordo,
inevitabilmente, non può non abbinarsi un omaggio ad un affluente del Liri, la
Forma di Aquino, forse l’unico affluente, oltre al Fibreno, cui venne affidato
il compito, non di poco conto, di fornire energia ad una iniziativa
industriale.
Alimentato
dalle sorgenti che si aprono sulle più basse pendici di monte San Silvestro,
propaggine del Cairo, in località Capo d’acqua nel territorio di Castrocielo,
la Forma, dopo un percorso iniziale in parte disegnato dall’uomo, all’altezza
della chiesa della Madonna della Libera, dunque in luogo immediatamente
precedente la cartiera, effettuato un salto di quota di circa 13 metri va
quindi ad occupare un proprio spazio nel letto degli antichi laghi di Aquinum, poi detti «Pantani», ed il
motivo è facilmente intuibile, per raccordarsi, infine, con il fiume Liri.
L’adattamento
artificiale del percorso iniziale della Forma viene generalmente collocato in
epoca medievale anche se in prosieguo di tempo probabilmente venne abbandonato
a sé stesso. Supporre, comunque, che tale adattamento fosse giustificato, oltre
che da mere ragioni di bonifica, soprattutto per un più razionale utilizzo
delle acque, è ipotesi da non scartare. A parte il fatto, degno di nota, che a
monte ed a valle della zona dominata dalla chiesa della Madonna della Libera il
percorso venne «inserito» nel sito dell’antica via Latina ormai in disuso, non
è di poco conto il particolare determinato dalla presenza, proprio in quel
tratto di via Latina riconvertito in letto della Forma, di un antico arco - già
allora, come ancora oggi del resto, degnato di attenzione alcuna anche se
ritenuto dagli studiosi una chicca di epoca augustea - che consentiva di
poterne sfruttare la struttura per supportare i marchingegni occorrenti a
regolarizzare il corso delle acque.
Ma per farne
cosa di queste acque? Probabilmente un mulino, forse proprio quel mulino «a
palmenti» che nel 1818 un Pelagalli, Pasquale, per l’esattezza, acquistò dal
regio demanio.
La cartiera
nasce dopo, nel 1843, e sarebbe stato proprio un figlio di Pasquale, Gaetano, a
convertire il molino in cartiera, sfruttando ovviamente la forza idraulica prodotta
dalla caduta delle acque della Forma.
Inutile
precisare che le notizie su questa iniziativa industriale sono rare. Si ha però
motivo di ritenere che l’avvio dell’attività non fu dei migliori a causa
soprattutto di una gestione «familiare» attuata con ogni probabilità per
lesinare sui costi e preferita, dunque, ad una gestione che avrebbe dovuto
beneficiare dell’assistenza di personale specializzato. Pare, insomma, che
esauriti i capitali di cui si disponeva, al fine di far fronte ai debiti fu
inevitabile, per i Pelagalli, disfarsi di un centinaio di tomoli di terreno la
cui vendita avrebbe fruttato sui 6.000 ducati, forse un centinaio di milioni di
oggi.
Il
risultato, però, non dovette essere in linea con le attese se si ritenne più
conveniente affidarne la gestione a terzi. Ma si andò di male in peggio:
capitò, infatti, sulla strada dei Pelagalli un certo Alviggi, forse
Bonaventura, di Amalfi - che per il fitto avrebbe corrisposto sui 400 ducati
l’anno - il quale, a transazione di una lite giudiziaria da lui stesso
promossa, avrebbe infine preteso un consistente buonuscita.
Quanto alla
produzione, la cartiera Pelagalli realizzava principalmente, se non
esclusivamente, carta paglia, ovvero un tipo di carta ottenuta mediante la
macerazione della paglia nella calce «viva» ed utilizzata ancora per qualche
decennio dopo la seconda guerra mondiale soprattutto per avvolgere gli
alimenti; talvolta, però, si produceva anche carta cosiddetta «bigia» e
ricavata da un impasto di stracci e carta da macero.
Le vicende
della cartiera seguirono quindi un andamento altalenante comunque proiettato
verso un seppur modesto progresso: da una Statistica
dell’Industria della Carta nell’Italia Meridionale si ha notizia che nel
dicembre del 1860, con l’utilizzo di una sola macchina, l’unica, peraltro, di
cui era dotata, e di «una turbina idraulica a cinque cilindri» (1882), essa
produceva ogni giorno una decina di quintali di carta; da altra fonte
apprendiamo, invece, che nel 1876 arrivava a dar lavoro addirittura a 90
operai. Considerato che la popolazione di Aquino si aggirava a quei tempi sulle
duemila unità, essa costituiva dunque una buona risorsa per l’economia locale
occupando, in dettaglio, 30 «maschi»” (pari al 33,33 per cento del totale), 20 «femmine»
(22,22) e 40 «fanciulli» (44,45).
Nel giro di
una ventina di anni, però, l’occupazione si affievolì notevolmente: i primi
segnali di crisi arrivarono nel 1882 quando i posti di lavoro scesero a 75 per
ridursi ulteriormente ad una quarantina alla fine del secolo. Ma c’è da
precisare che il calo occupazionale registrato nel ventennio in questione fu un
evento generalizzato, che interessò, cioè, tutto il settore cartario nazionale
per via del progresso tecnologico e della conseguente maggior produzione di
forza motrice.
Nel contempo
cambia radicalmente anche la «fisionomia» dei lavoratori occupati: infatti, pur
se permane identico a vent’anni prima, cioè a 30 unità, il numero dei «maschi»,
stavolta, però, esso costituisce nel complesso ben l’81,08 per cento del
totale; al contrario, si contrae il numero delle «femmine», appena 5 (13,51),
mentre è di notevole consistenza il calo della manodopera infantile, ridotta a
due sole unità (5,41), di sicuro in seguito all’approvazione della legge che
regolamentava il lavoro minorile (n. 3657, 11 febbraio 1886).
Quanto agli
operai della cartiera Pelagalli, in particolare le «femmine», è il caso di
citare una testimonianza collegata alla riscoperta, se non addirittura alla
scoperta, della vicina chiesa della Madonna della Libera per via della
presenza, in quella zona, di «un lastrone di marmo bianco» al cui centro, «con
colore alquanto nerastro si vedeva effigiata una mano distesa». Ciò «avea fatto
invalere negli animi degli Aquinati e specialmente nella classe contadinesca
che in quel sito» fosse apparsa la Madonna della Libera: «una devozione per
siffatto creduto prodigio animava tutti gli indigeni del paese a tributare il
loro omaggio, ed in special modo tutte le artigianelle della vicina cartiera
prima e dopo il loro travaglio quivi genuflesse con armoniose voci intuonavano
l’inno a Maria» (Nota anonima manoscritta in G. Botta, Romanzetti storici contenenti fatti contemporanei dal 1860 in poi. Napoli,
1875).
Alla fine
del XIX secolo la cartiera Pelagalli, che all’epoca contava su una forza
idraulica di 40 cavalli, non doveva costituire l’unica attività «industriale»
svolta in Aquino se dalla stessa fonte apprendiamo della presenza di una decina
di telai per la «tessitura di stoffe liscie operate in lino e canape» che
assicuravano una durata media di lavoro annuo di 120 giorni (Notizie sulle condizioni industriali della
provincia di Caserta nel 1889. Ministero di Agricoltura, Industria e
Commercio. Direzione generale della statistica. Roma, 1889).
Tra il 1909
ed il 1910, ad iniziativa di un altro Gaetano Pelagalli, nipote dell’omonimo
fondatore della cartiera, nella parte più elevata del terreno a disposizione,
che era anche quella più prossima all’arco onorario, si costruì un’altra
cartiera, ma di più modeste dimensioni, utilizzata essenzialmente per la
produzione di un nuovo tipo di carta paglia, detta «toscana», caratterizzata,
in particolare, da uno spessore più sottile rispetto a quella prodotta nella «vecchia»
cartiera: poiché usciva ancora bagnata dalla macchina, necessitava di essere
asciugata servendosi di appositi stenditoi ed utilizzando pesanti magli; da
altra fonte del tempo, e con evidente riferimento alla cartiera Pelagalli, si
ha notizia che in Aquino «è fiorente l’industria della carta da imballaggio»
(Francesco Sarappa, Terra di Lavoro.
Notizie geografiche, storiche, sociologiche della Provincia di Caserta.
Napoli, 1917). E tuttavia da precisare che l’attività della cartiera di Aquino
venne gestita a cavallo del secolo e forse per una quarantina d’anni
(1880-1922?) da Riccardo Procaccianti, un imprenditore di Guarcino dove la sua
famiglia possedeva un’altra cartiera ed un’altra ancora la possedeva a Prata
Sannita, in provincia di Caserta.
L’attività
della cartiera di Aquino non dovette andare molto al di là del 1922, anno della
morte del Procaccianti tanto che non è da escludersi che a seguito di ciò
alcuni operai aquinati si spostarono nella cartiera di Prata Sannita, dove
tuttora ci sarebbe traccia di essi o, comunque, dei loro discendenti. Sta di
fatto che nel 1926 quello che era «un antico stabilimento industriale per la
produzione della carta», come si legge in un documento attinente la cessione
del complesso alla famiglia Cerrone nei primi anni del secondo dopoguerra, «fu
adibito parte ad uso rurale e parte a centrale elettrica per la produzione di
energia», centrale già attiva presso il mulino San Costanzo sin dal primo
decennio del Novecento sempre per iniziativa della famiglia Pelagalli. Ma a
causa degli eventi bellici dell’ultimo confitto mondiale anche il macchinario
che costituiva la centrale elettrica andò distrutto insieme a buona parte dei
restanti fabbricati cosicché «del vecchio stabilimento denominato ‘Cartiera’
rimanevano pochi ruderi di fabbricati e i diritti dalla derivazione delle acque».