Dalla
Befana fascista del 1936 Rocco Baccari, classe 1928, riceve in dono un
«sussidiario usato», ci tiene a chiarirlo, della terza elementare. Anche se
frequenta ancora la seconda, Rocco lo legge ugualmente con avidità e con
interesse: è un po’ tutto ad affascinarlo ma un tantino di più sono le
misteriose vicende della preistoria.
Passano
gli anni e arriva, ma passa anche, la Seconda guerra mondiale. Aquino è ridotta
ad un cumulo di macerie e la via della ricostruzione si è iniziati appena a
percorrerla. Sarà stato i1 1947 o forse il 1948. Rocco è ormai ventenne, o
quasi. Il copione della vita gli ha riservato un piccone ed una pala ma lui non
ne fa un dramma; il rimpianto, semmai, è per le scuole che per forza di cose ha
dovuto «chiudere» alle elementari.
Con
il padre Vincenzo e con il fratello Giuseppe lavora, infatti, in un’antica cava
di pozzolana, altrimenti nota come «gliù cavarena», materiale molto richiesto
per via della ricostruzione. Già di proprietà della famiglia Spezia e poi di
Pasquale Pelagalli, la cava è sulla «rotabile per Pontecorvo», proprio al di
sopra del lungo curvone che precede l’inizio di quella salita localmente nota
come «la salita gliù sìneche», appena un centinaio di metri prima di
sottopassare il viadotto sui Pantani della ferrovia per i treni ad alta
velocità.
Il
lavoro procede senza emozioni ma con molta fatica. Rocco affonda quasi
meccanicamente il piccone nella sabbia. Di tanto in tanto, qualche parola con
il padre e con il fratello.
Poi, arriva quel giorno. Un giorno come gli
altri, lo stesso lavoro di sempre. A un certo punto, però, mentre scava con il
solito piccone, Rocco ha la sensazione che l’impatto fra la lama e la sabbia è
diverso dal solito. Meno «dolce» del solito.
Si
chiede: «Ma cosa può esserci in quel banco di sabbia di diverso dalla sabbia?».
L’interrogativo
merita una risposta, per cui riprende a scavare con molta delicatezza e con più
attenzione. E la risposta non tarda ad arrivare.
Infatti,
poco dopo, Rocco si ritrova fra le mani una pietra incrostata di sabbia che il
piccone ha spezzato in due. Fosse stato un altro a trovarla, non ci avrebbe
pensato su due volte e l’avrebbe gettata via. Rocco, invece, la pulisce alla
meglio togliendovi la sabbia, la controlla con attenzione e mentre se la gira
delicatamente tra le mani è già convinto che non si tratta di una comunissima
pietra ma di una «strana» pietra, di una pietra non certo preziosa ma che un
qualche valore deve averlo. Recupera anche l’altro pezzo, lo pulisce alla
meglio e poi fa combaciare le due parti, laddove la lama del piccone aveva
colpito: l’ipotesi di Rocco, ovvero quella sensazione che l’aveva sfiorato, è
confermata.
Mentre
le mani compiono queste azioni, la sua mente sfoglia a ritroso le pagine del
tempo fino a quel sussidiario della Befana fascista dove di una pietra come
questa c’era addirittura la fotografia: aveva fatto un tale effetto nella sua
memoria infantile da non averla mai più dimenticata. Ora ha addirittura la
fortuna di averne una eguale fra le mani e non sta più in sé per quella scoperta:
sarà stata lunga sui venti centimetri ed un aspetto che si avvicina ad una
grossa mandorla. Gli studiosi della materia la chiamano amigdala ed è, in
sostanza, un’arma creata ed usata dagli uomini dell’età della pietra.
Ma
Rocco non ha il tempo di fantasticare e per quanti sforzi faccia per spiegare
che si tratta di una grossa scoperta, papà Vincenzo lo richiama alla realtà
delle cose evidenziando seri dubbi sulle capacità mentali di quel figlio uscito
pazzo per una pietra. Dubbi che, ovviamente, non ha difficoltà a manifestare in
caratteristiche ed irripetibili espressioni dialettali.
A
Rocco non resta altro che fare buon viso a cattivo gioco e riprendere a
lavorare. Ma ora è diverso, consapevole com’è di trovarsi su un terreno che, in
un certo senso, scotta. E scotta per davvero se gli capita, appena dopo, di
trovare un dente di una ventina di centimetri di lunghezza ed un tantino
ricurvo ed un osso lungo all’incirca un metro, che Rocco ritiene possa essere
stata la tibia di un grosso animale.
E
finalmente, un’altra amigdala. Stavolta, però, tutta intera e senza nemmeno un
graffio.
Nonostante
Vincenzo Baccari sia sempre più perplesso circa le capacità mentali del figlio,
per Rocco quelle scoperte costituiscono argomento di conversazione con gli
amici «più istruiti» ed un buon motivo per fantasticare.
Poi, per iniziativa dell’insegnante
Vincenzo Pelagalli, la “pietra a mandorla” finisce col girare a scuola per esser
fatta conoscere ai bambini. Finché, qualche tempo dopo, non viene segnalata ad
Italo Biddittu - lo stesso studioso cui si deve la scoperta nelle campagne di
Ceprano, il 13 marzo 1994, del cranio appartenuto al più antico cittadino
italiano o addirittura europeo (si parla di oltre 700.000 anni) - che già
allora si interessava alla storia e, soprattutto, alla preistoria del
territorio, il quale provvede a darle la meritata risonanza.
Ho chiesto al prof.
Biddittu quale significato attribuire all’amigdala scoperta casualmente da
Rocco Baccari ed in quale epoca collocarla. Secondo l’illustre studioso, «il rinvenimento di manufatti bifacciali
acheuleani nel territorio di Aquino testimonia ulteriormente la diffusione nel
Lazio meridionale di un aspetto culturale che si sta rivelando di fondamentale
importanza per la storia dell’uomo. L’amigdala di Aquino, ottenuta con tecnica
di scheggiatura evoluta da un blocco o ciottolo di calcare, è riferibile al
glaciale Riss; in termini di cronologia assoluta, si può indicare una età
approssimativa di 250.000 anni».
- Ma al di là di questa
specifica pietra, ho chiesto ancora ad Italo Biddittu, quali sono le più
significative testimonianze pervenuteci da queste epoche lontanissime ed a
quali di queste epoche, in particolare, esse si riferiscono?
-
«Si tratta di manufatti in pietra scheggiata che erano prodotti dall’uomo
preistorico per destinarli alla caccia degli animali selvatici. Alcune volte si
rinvengono anche manufatti in osso ricavati dalle diafisi delle ossa lunghe dei
mammiferi. Ad Aquino, nella località in cui era aperta la cava di pozzolana
Pelagalli, sono stati rinvenuti alcuni bifacciali (amigdale) acheulane. »
- A taluni ‘resti
preistorici’ trovati sotto l’abitato di Aquino nel 1927 viene attribuita
un’origine «terramaricola», al pari di quelli scoperti l’anno
precedente a Ceprano in contrada «Le
Pantane» da Giovanni Colasanti. A
che epoca possono farsi risalire e quale opinione si ha sulla loro origine?
- «L’attribuzione dei ritrovamenti
preistorici ad una presunta cultura ‘terramaricola’ era un fatto diffuso nei
primi decenni del secolo ed era una logica conseguenza dell’influenza
esercitata da Luigi Pigorini e la sua scuola. Secondo il Pigorini la diffusione
della civiltà in Italia era stata condizionata dall’espansione di elementi
caratteristici dell’Europa centrale; questa convinzione spingeva i ricercatori
a considerare come ‘terramaricoli’ gran parte dei reperti preistorici che
venivano occasionalmente alla luce in varie parti d’Italia. È attualmente
impossibile dare una definizione culturale e cronologica dei resti trovati a
Ceprano e ad Aquino, poiché credo siano dispersi. Di notevole interesse,
invece, è il ritrovamento di ceramiche preistoriche riferibili alla fine
dell’età del rame che ho rinvenuto alcuni anni fa, sempre nelle vicinanze della
cava Pelagalli. Si tratta di pochi frammenti di vasi alcuni dei quali decorati
sulla superficie esterna da listelli di argilla applicati che trovano confronto
con quelli del villaggio di Selva dei Muli a Frosinone. Dal punto di vista
cronologico questi reperti possono essere datati intorno al 2000 a.C.»
-
Dove sono conservati sia questi reperti che l’amigdala?
-
«L’amigdala rinvenuta da Rocco Baccari è conservata presso il Museo Preistorico
Etnografico Luigi Pigorini di Roma; pochi altri bifacciali e le ceramiche della
cava Pelagalli sono presso l’istituto Italiano di Paleontologia Umana, sempre a
Roma.»
In effetti, però, almeno
per quanto riguarda la pietra a mandorla, al museo Pigorini da tempo non se ne
ha traccia alcuna. Quanto agli altri reperti segnalati dal prof. Biddittu,
invece, sarà il caso di compiere analoga verifica presso la sede indicata.
Anche perché, con il sempre maggior prestigio acquisito dal ‘Museo della città’
di Aquino, sarebbe il caso che certe testimonianze tornassero ai loro luoghi di
origine.
A
Rocco Baccari, con la soddisfazione che il suo nome venga citato sulle
pubblicazioni scientifiche associato alla scoperta di una delle amigdale di
Aquino, di una metà della «pietra a mandorla» è rimasto solo un calco in
cemento che lui stesso, provvidenzialmente, realizzò prima di consegnare l’originale
alla collettività.
Anni
fa sono andato con Rocco alla cava. E mentre mi raccontava questa storia,
ruspando con le mani nel terreno, ha tirato fuori un pugno di soffice sabbia,
più soffice di quella del mare. Era la sabbia che custodiva l’amigdala, la
stessa dove, forse, sono ancora custoditi chissà quanti e quali altri segreti
del più remoto passato di Aquino e del territorio.
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