Era l’ultimo giorno di
agosto del 1974. Un sabato. Quel pomeriggio ad Aquino si celebrava uno dei
grandi eventi del centenario tomistico: l’inaugurazione delle nuove opere
d’arte della basilica-cattedrale nel contesto di una solenne cerimonia
presieduta da mons. Annibale Bugnini, segretario della Congregazione del culto
divino; a far gli onori di casa, oltre al parroco, mons. Giovanni Battista
Colafrancesco, c’era il vescovo diocesano, mons. Carlo Minchiatti.
E fu proprio con questi
che se la presero, prima che la cerimonia avesse inizio, alcuni cittadini di
Roccasecca per via della scritta che era stata posta sulla parete destra della
facciata della chiesa a testimoniare l’evento centenario: ‘1274 - 1974 VII
Centenario di S. Tommaso di Aquino’.
Secondo gli irati
cittadini di Roccasecca, ed era questo che mandava loro in bestia, in quella
scritta c’era una ‘i’ di troppo. Quella, per l’esattezza, che stava ad indicare
in Aquino l’appartenenza, e dunque l’origine, del Santo: ‘S. Tommaso di Aquino’.
Quel ‘di’, insomma, a
parer loro era del tutto fuor di luogo, avendo (notoriamente) l’Aquinate visto
la luce in quel di Roccasecca: non ‘di’, allora, bensì una ‘d apostrofo’ che
avrebbe reso giustizia alla storia placando l’ira dei paladini della
roccaseccanità dell’Aquinate. I quali, peraltro, pretesero che si provvedesse
subito ad apportare la reclamata rettifica.
Gli aquinati non è che
gradirono molto la cosa: ne parlarono, commentarono l'episodio ma poi ragioni
di opportunità e soprattutto di ospitalità nei confronti sia di mons. Bugnini
che di mons. Minchiatti consigliarono di fare buon viso a cattivo gioco.
Cosicché affollarono la basilica-cattedrale e parteciparono compunti, anche se
in cuor loro un tantino adirati per quella ingerenza ‘esterna’, alla solenne ed
importante cerimonia.
Non tutti, però. Nel
frattempo, infatti, un manipolo di aquinati irriducibili e dunque molto, molto
infuriati per quello che non poteva non considerarsi che un vero e proprio
affronto consumato, peraltro, tra le pareti domestiche, studiarono la
contromossa e l’attuarono in un batter d’occhio. Recatisi nel negozio di stoffe
del compianto Costanzo Iadecola in via Giovenale, lì stesso realizzarono,
grazie alla presenza nel manipolo di un paio di sarti, uno striscione con un
testo breve, preciso e, come suol dirsi, compendioso: ‘San Tommaso È di Aquino’,
con una ‘È’ a caratteri cubitali che non lasciava spazio a dubbi di sorta.
L’arrivo in piazza dello
striscione fu salutato dall’entusiasmo - e che entusiasmo! - dei fedeli che
proprio allora uscivano dalla chiesa tant’è che ci volle il bello e il buono da
parte dei ‘fautori’ dello striscione stesso per evitare che la protesta ‘degenerasse’:
con la scritta rivolta verso la chiesa, esso, infatti, costituì la punta
avanzata, al limite della piazza verso l’accesso al sagrato, di una rumorosa
contestazione che costrinse le autorità ecclesiastiche (e chi non condivideva
quella manifestazione) a rimanere per molto tempo all’interno del sacro
edificio prima di decidersi a guadagnare l’uscita, ma attraverso la più
appartata porta della sacrestia.
La cosa ovviamente
alimentò ancor più il disappunto degli aquinati i quali, a memoria d’uomo, per
la prima volta in assoluto - ma sarebbe stata anche l’ultima - scendevano
coralmente in campo a tutelare l’origine aquinate dell’Angelico Dottore
attraverso una manifestazione che, a scanso di equivoci, è doveroso precisare
non andò, comunque, mai al di là della protesta verbale, anche se, talvolta, un
tantino colorita, come del resto capita anche (se non soprattutto) nelle
(cosiddette) migliori famiglie.
Il giorno dopo, mentre
l’anelato apostrofo sostituiva la ‘i’ nella scritta sulla facciata della chiesa
a soddisfare le richieste dei roccaseccani, lo striscione, nottetempo sistemato
a dovere (le lettere, infatti, era state solo appuntate con gli spilli),
trovava, come suol dirsi, consona collocazione tra i due grandi platani, sempre
con la scritta rivolta verso la basilica-cattedrale, a ribadire il suo
messaggio: ‘San Tommaso È di Aquino’. E lì rimase per alcuni giorni, fino a
quando cioè, approssimandosi il 14 settembre, ovvero il giorno in cui era in
programma la vista di Papa Paolo VI, non venne sostituito da un altro, più
diplomatico ma non meno eloquente: ‘La città di Tommaso saluta Sua Santità’.
Coloro i quali nel tempo hanno tentato di
sottrarre ad Aquino l’onore di aver dato i natali a San Tommaso generalmente e
puntualmente hanno evitato di prendere in considerazione alcuni aspetti che se non
attengono in modo diretto il nocciolo della questione tuttavia riconducono
senza ombra di dubbio ad essa, confermandone l’assunto. Ovvero che San Tommaso
nacque in Aquino.
Scrive mons. Rocco
Bonanni (Aquino patria di San Tommaso.
Tip. Pietro Veratti. Roma, 1903, p. 28): «Non solo gloria si accrebbe ad Aquino
con la nascita del Santo ma per essa ottenne anche favori e vantaggi, che altri
non ebbe».
L’ultimo dei quali, se
così può dirsi, in occasione del concordato del 1818 tra Santa Sede e Regno di
Napoli che stabilì la soppressione delle diocesi di Aquino e Pontecorvo. A
seguito di tale evento - sarà il caso di ricordare che Aquino contava a quel
tempo nemmeno mille abitanti, quindi aveva nessun peso contrattuale - il
Capitolo locale manifestò il proprio disappunto a chi di dovere rammentando,
scrive Bonanni che «l’origine del Vescovado riandava a S. Pietro Apostolo, e
che la città era la patria di S. Tommaso» (Bonanni, idem). Bastò questo perché, con un codicillo, il Concordato venisse
modificato. Infatti, «Aquino ebbe la precedenza sulle due altre sedi unite aeque principaliter, in modo che i
Vescovi devono prendere sempre per primo titolo Aquino, dove fanno il primo
ingresso, mantenendo per le due altre di Sora e Pontecorvo l’alternativa»
(Bonanni, idem), cioè ad uno Vescovo
di Aquino, Sora e Pontecorvo seguirà un Vescovo di Aquino, Pontecorvo e Sora.
Ma al di là di ciò, che
pur costituisce un fatto importante, la cosa veramente degna di nota e mai
presa in seria considerazione è costituita da un particolare privilegio di cui
Aquino ebbe a beneficiare in epoche in cui se il suo splendore medievale era
ormai soltanto un lontano ricordo tuttavia era ben noto che proprio ad Aquino
erano da ascriversi i natali dell’Angelico Dottore.
Fu, questo privilegio,
quello concesso da re Alfonso di Aragona il 28 novembre 1443, mentre era a
Caramanica, in terra d’Abruzzo, con il quale gli aquinati - ‘ipsam Civitatem Aquini, et homines ipsius
Civitatis - venivano esentati dalla tassa sul sale e dal pagamento dei ‘pesi
fiscali’, ‘ob reverentiam … Beati Thomae
de Aquino’.
E non si trattò,
beninteso, di un fatto occasionale. Esso, infatti, beneficiò di varie conferme
la prima delle quali il 20 dicembre 1446 da parte dello stesso Alfonso
d’Aragona mentre si trovava ad Anagni. Vi fu poi la conferma da parte di
Federico, successore di Ferdinando II, il 19 novembre e il 5 dicembre 1495 e
poi ancora quella del primo Viceré di Ferdinando III il Cattolico, ad istanza
della Duchessa di Francavilla, Costanza d'Avalos-d'Aquino, tutrice di
Ferdinando Francesco d'Aquino, utile Signore della Contea.
L'ultima conferma del
privilegio concesso agli Aquinati, sia a onore e gloria di S. Tommaso ma anche
per le devastazioni e stragi sofferte per la fedeltà verso la real famiglia
d'Aragona, fu quella fatta da Carlo V al ritornò dalla guerra d’Africa, nella
quale, ad avere il comando supremo, fu Alfonso d'Avalos-d'Aquino. Era datata ‘Napoli,
31 dicembre 1536’ (Bonanni, idem, p.
29).
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